Nella giornata di venerdì 17 giugno si è tenuta la terza giornata della rassegna cinematografica Insostenibile, organizzata dall’associazione 24 FPS, con tema del giorno “il clima”.

La sera, al cinema Astra a Parma, è stato proiettato il documentario del 2020 Journey to Utopia del regista norvegese Erlend E. Mo, in cui racconta il viaggio suo, di sua moglie e dei suoi tre figli da una fattoria in Norvegia verso la comunità di Permatopia, che sarebbe nata dopo poco tempo in Danimarca per cercare di ridurre il proprio contributo alla crisi climatica in atto e dei cambiamenti che queste cinque persone si troveranno ad affrontare in questa nuova vita.

Un tema complesso, da notti insonni

Inizialmente la famiglia vive nella fattoria costruita dal padre del regista in Norvegia. La complessità e la grandezza del cambiamento che la famiglia è chiamata a fare è evidente, a mio avviso, già dalla prima scena del film, quando, nel buio della notte, marito e moglie stanno cercando di addormentarsi. È subito evidente, infatti, il diverso approccio dei due: mentre lei sta cercando di prendere sonno, lui non riesce, preoccupato per la crisi climatica e lei fa subito notare che senza dormire non riuscirebbe a fare nulla, come sta succedendo a lui.

In effetti, nel corso del film, il regista delinea la differenza tra i due: mentre lei sarebbe pronta da subito ad effettuare un cambiamento necessario, lui si definisce “il tipico nostalgico”, che si trova bene nel passato e nei sogni; infatti, riterrebbe più conveniente aspettare e valutare altre opzioni.

Permatopia: una possibilità per cambiare?

La moglie viene a sapere di una comunità che sarebbe nata a breve, Permatopia, che si poneva l’obiettivo di creare una società che riducesse notevolmente l’impatto ambientale, puntando anche sull’autosufficienza. Così si decide si trasferirsi quando le prime case saranno costruite e, nell’attesa, si trasferiscono in un’altra casa.

Al regista sembra di essere usciti dalla realtà ed essere entrati in un sogno.

Ma non passa molto tempo quando arriva la notizia che i lavori di costruzione sarebbero durati più del previsto e il loro trasferimento nella nuova casa rimandato. Questo porta a diversi trasferimenti in varie strutture ed anche dubbi ed incertezze nel regista.

Dopo un anno e mezzo, finalmente, la famiglia può trasferirsi nella nuova sistemazione e ben presto sorgono le prime difficoltà con questa nuova realtà.

Cambiamenti difficili ma necessari

Infatti, tutto è ancora poco stabile ed efficiente e tutti si trovano a dover condividere molto più degli spazi comuni. In particolare, ogni membro è tenuto a lavorare per almeno due ore a settimana per la comunità e una scena che mi ha colpito molto in questo senso è quando il figlio va con la madre a raccogliere le patate nel campo; lui è il solo bambino e per cercare di combattere la noia e la fatica, improvvisa un campo un canestro, cercando di lanciare le patate nella carriola per fare centro. Presto però questo provoca la rabbia degli altri membri e la madre è l’unica a difenderlo per la sua giovane età. E subito dopo viene inquadrato lui che si allontana dal gruppo a testa bassa.

Nel corso del film vengono mostrate le difficoltà che tutti i membri della comunità si trovano ad affrontare, mostrando come, forse, una soluzione del genere non è fattibile per le tasche di ogni famiglia, ma viene mostrato come si cerchi di attuare dei cambiamenti per il bene delle generazioni future.

Un vlog al cinema

Il documentario è stato realizzato in maniera apparentemente molto semplice, quasi come se fosse un moderno vlog, per per cercare di trasmettere i comportamenti quotidiani, i dubbi e le incertezze, di una famiglia di cinque persone che vuole compiere per cercare una soluzione alla crisi climatica in atto.

È proprio questo modo di raccontare, secondo me, che trasmette in maniera efficace la necessità di un cambiamento e tutto quello che questo può portare sulle persone.

di Nicola Sabatelli